Io, morto per dovere

Dieci anni fa, nel 2014, moriva a causa di un linfoma il sostituto commissario di polizia Roberto Mancini. Nel 2015 gli veniva conferita la Medaglia d’oro al Valor civilePer essersi prodigato, nell’ambito della lotta alle ecomafie (…), nell’attività investigativa per l’individuazione, nel territorio campano, di siti inquinati da rifiuti tossici illecitamente smaltiti. L’abnegazione e l’incessante impegno profuso, per molti anni, nello svolgimento delle indagini gli causavano una grave patologia che ne determinava prematuramente la morte”.

Nato a Roma nel 1961, Mancini frequenta negli anni’70 il liceo classico Augusto, dove partecipa attivamente al “Collettivo Politico Augusto” e in seguito aderisce a Democrazia Proletaria. Ricorda Enrico Fontana che «A volte era spietato, stronzo, rigido e capoccione. Erano i suoi unici difetti. Per il resto era una personalità gioiosa, esilarante e intelligente».

Terminate le scuole superiori, Roberto sorprende la madre e gli amici annunciando che ha deciso di arruolarsi nella Polizia. Poco dopo il giuramento viene destinato al Ucigos – Ufficio centrale per le investigazioni generali e le operazioni speciali – presso il Ministero dell’interno, dove viene presto identificato come il poliziotto con il manifesto sotto il braccio. Dopo essere stato destinato a varie sedi in Toscana e Umbria, alla metà degli anni ’80 torna a Roma, presso la Criminalpol.

Ottimo investigatore, Roberto Mancini ha un ruolo importante nella cattura di diversi latitanti appartenenti alla criminalità organizzata, tra cui Angelo Moccia, leader della Nuova famiglia, gli antagonisti della Nuova Camorra Organizzata guidata da Raffaele Cutolo. Moccia viene arrestato sul suo yacht a Gaeta, a seguito di indagini condotte nel Lazio meridionale alle quali Mancini dà un contributo determinante, agendo anche da infiltrato.

Roberto Mancini conduce l’indagine che porterà nel 1994 alla chiusura, quarantotto ore prima dell’apertura degli sportelli, della Banca Industriale del Lazio di Cassino. Dei 25 miliardi di cui è composto il capitale sociale della banca, seicento milioni sono stati sottoscritti dall’avvocato Cipriano Chianese, altrettanti da sua sorella e sua moglie. Dalle indagini risulta che le tre società finanziarie che hanno ampie quote della nascente banca si sono sviluppate negli anni in cui «le formazioni camorristiche del napoletano e del casertano facevano il loro ingresso nel business del traffico dei rifiuti».

Al centro di quel traffico c’è proprio l’avvocato Chianese, che mantiene rapporti con esponenti di primissimo piano della camorra, come Francesco Bidognetti, importanti imprese come quella che inviano alle discariche campane i rifiuti industriali provenienti dall’Acna di Cengio, dall’Italsider di Taranto e dalla centrale Enel di Brindisi, generali dei Carabinieri come Domenico Cagnazzo e del Corpo Forestale dello Stato come Cesare Patrone, finanzieri come Ennio Doris.

Nonostante l’informativa prodotta da Roberto Mancini e inviata alla Procura di Napoli con la firma del suo dirigente Nicola Cavaliere nel 1996, Chianese può continuare le sue attività illecite fino al 2006, quando viene arrestato. Nel 1996 si candida anche alla Camera dei Deputati nella lista di Forza Italia ma non viene eletto. Nel 2011 la magistratura riapre l’informativa del ’96 e chiede a Mancini di svolgere nuove indagini (che lui porta a termine nonostante fosse sia già gravemente malato) i cui risultati sono condensati nella nuova informativa consegnata nel 2013.

Dopo aver collaborato presso la Camera dei Deputati con la Commissione bicamerale d’indagine sul ciclo dei rifiuti, presieduta da Massimo Scalia, dal 1997 al 2001, Mancini negli ultimi anni della sua vita presta servizio presso il commissariato del quartiere di San Lorenzo, a Roma, mentre lotta con la malattia che lo ha colpito. A San Lorenzo il sostituto commissario, grazie alla sua sensibilità per i problemi sociali, svolge spesso un ruolo di mediazione nella gestione di sgomberi abitazioni occupate. A seguito di un improvviso riacutizzarsi della malattia, Roberto Mancini si spegne a Perugia il 30 aprile del 2014.

Nel 2016 gli viene dedicata la sala teatro dell’Istituto Comprensivo Falcone e Borsellino, in via Giovanni da Procida a Roma. La sua vita ha ispirato la miniserie televisiva Io non mi arrendo, con Giuseppe Fiorello, trasmessa dalla RAI nel 2016.

Cipriano Chianese è stato condannato in via definitiva nel 2021 a diciotto anni di reclusione per associazione camorristica e inquinamento di acque, in relazione alle attività della discarica Resit di Giugliano in Campania. Nel 2013 la Corte di Cassazione ha reso definitiva la confisca dei suoi beni, tra cui un complesso alberghiero a Formia e una villa a Sperlonga. Dopo più di dieci anni dalla confisca questi beni, di grande valore anche simbolico, rimangono ancora inutilizzati.

di Massimo Leone

Luca Ferrari, Nello Trocchia, Io, morto per dovere, con prefazione di Giuseppe Fiorello e un contributo di Monika Dobrowolska Mancini, Chiarelettere editore, 2016.

Immagine in evidenza: La villa confiscata a Cipriano Chianese, a Sperlonga; fonte https://www.latina24ore.it/latina/20943/camorra-sequestrate-ville-di-lusso-a-sperlonga/

La Corte di Cassazione ha confermato nel 2024 la confisca della villa di Cipriano Chianese a Sperlonga https://www.temporeale.info/157118/argomenti/cronaca/sperlonga-confermato-provvedimento-di-confisca-della-villa-di-cipriano-chianese.html

Gaeta grottesca

Elvio Fachinelli,  psichiatra, psicoanalista, pedagogista e attivista italiano, come lo definisce Wikipedia, dal 1963 al 1989 raccolse aneddoti, osservazioni e aforismi in un diario che portava il titolo di Grottesche.

Nel mese di giugno del 1974 annotò questo schizzo di Gaeta:

A Gaeta: la città vecchia diroccata, sovrastata dalla rocca borbonica, ora prigione militare, parti di essa abbandonate, dopo i bombardamenti; davanti un ristorante «d’epoca» intitolato al «Re Borbone». Strade disselciate, polvere. Sulla soglia di antri si affacciano vecchi, donne grasse e bambini.

Sul lungomare davanti alla città nuova, alla stessa ora, la passeggiata prima di cena. Giovani molto curati, con un’eleganza da manichini. Portano jeans, ma senza noncuranza. Anzi con una cura minuziosa dell’aspetto, della figura. La novità del vestito è importata da fuori e innestata su un modello vecchio di «bella figura» piccolo-borghese. Doppia dipendenza: dal modello esterno e da quello locale vecchio.

Ogni tanto, come ombre, accanto a loro, diversi anche nel passo, vecchi operai o contadini, in tutto «fuori moda».

E le famiglie: gli uomini con lo sguardo assente, si direbbe, le donne invece mobilitate a guardare intorno come per una «boccata d’aria».

I rivoluzionari, forse si indovinano da una minore cura del vestito, da una reale trasandatezza. Ma, nel ricordo, li vedo vittime di un’altra dipendenza verso l’esterno, quella per cui si farebbero cultura e politica altrove, nel Nord. Sanno tutto del nord e niente di se stessi.

Massimo Leone

Elvio Fachinelli, Grottesche – Notizie, racconti, apparizioni, a cura di Dario Borso, Piccola Biblioteca di Letteratura Inutile, Italo Svevo, Trieste-Roma, 2019.

L’impegno di vivere – Pagine in ricordo di Tommaso Padoa Schioppa

Franco Continolo cita questo passo di Tommaso Padoa Schioppa (dal libro La veduta corta) nel discorso preparato per il settantesimo compleanno dell’amico, che non gli fu possibile pronunciare:

tenere in ordine la casa nazionale è [secondo la teoria della “casa in ordine” n.d.r.] la condizione necessaria e sufficiente perché ci sia un ordine internazionale. Nelle sedi internazionali non si deve dunque decidere alcunché in comune; ci si deve soltanto informare, ed eventualmente, esortare, reciprocamente. […] La dottrina della casa in ordine è congeniale a un paese [la Germania] che ha deciso di non dare più lezioni al mondo e vuole solo essere un allievo modello nell’economia e nella politica. Nello stesso tempo, però, in questa idea s’insinua il pericolo di un nuovo nazionalismo, che per analogia con il nazionalsocialismo, chiamerei nazional-liberalismo. La Prima guerra mondiale fa cadere l’illusione che, se le frontiere degli stati coincidessero con i confini delle nazioni, ci sarebbe la pace. L’Ordoliberalismo si culla in un’illusione dello stesso tipo; se ogni Stato facesse propri il mercato e la democrazia (non più la nazione), l’ordine regnerebbe nel mondo.

«Sono parole» commenta Continolo «che suonano come una presa di posizione contro chi, avverso a forme vere di sovranazionalità, alimenta l’illusione che basti riportare in equilibrio i conti pubblici e fare le riforme per garantire la stabilità dell’Eurozona.»

Ricorda Jacques Delors come Tommaso Padoa Schioppa avesse ben chiaro che «L’unico modo di ritrovare una sovranità è di condividerla e ricomporla a un livello coerente con la dimensione dei problemi comuni da risolvere.» Da discepolo di Altiero Spinelli, Padoa Schioppa disse a proposito dell’idea federalista:

Se un giorno ci sarà o meno una federazione europea, non ci è dato di saperlo. Sappiamo solo che questo è auspicabile, che il futuro è aperto, che l’unione politica dell’Europa è possibile, che la sua realizzazione dipende anche da noi, e che senza di essa la nostra democrazia rimarrà incompiuta.

Carlo Azeglio Ciampi ricorda, nel suo discorso commemorativo tenuto nel 2011 presso l’Università Bocconi, che Padoa Schioppa era:

esemplare espressione di quella borghesia colta, illuminata, laboriosa, consapevole delle proprie responsabilità sociali e per questo capace di una visione non angusta del proprio ruolo. In breve, erede diretto di quella classe dirigente che aspirava e seppe operare per fare dell’Italia, fin dalla sua unificazione politica, un Paese economicamente sviluppato e socialmente progredito, a pieno titolo incluso nel novero delle nazioni più avanzate. Una classe dirigente che professava la sobrietà come religione civile, osservante di un’etica severa.

Questo carattere emerge anche nella vicenda rievocata da Romano Prodi, sempre in occasione della commemorazione presso l’Università Bocconi:

La tempesta mediatica … particolarmente violenta allorché TPS aveva, con voluta ingenuità, osato sottolineare “la bellezza del contribuire, ciascuno con le proprie capacità, alle spese necessarie per il bene comune”. Pochi giorni fa ho rivisto e voluto rivedere sugli schermi televisivi questa sua dichiarazione e mi sono ancora sorpreso che queste parole di altissimo valore civile possano essere state oggetto di ironia e disprezzo. Debbo purtroppo concludere che questo non può che essere la conseguenza di un degrado del costume etico e democratico della nostra Italia, che peraltro era la sua dominante preoccupazione anche nei lunghi incontri che abbiamo avuto nelle settimane precedenti la sua morte.

Non è un caso se proprio a Tommaso Padoa Schioppa si è voluta contrapporre la demagogia della Presidente del Consiglio nazionalista in carica, quando ha affermato «Non penso che le tasse siano una cosa bellissima. Sono una bella cosa le donazioni, non i prelievi imposti per legge.»

Dobbiamo ricordare che l’unione politica dell’Europa è auspicabile e possibile, anche se in questo momento non appare probabile, ora che siamo chiamati ad eleggere la nuova legislatura del Parlamento Europeo. Il primo fondamentale criterio di scelta deve essere non votare le forze politiche nazionaliste.

Di Massimo Leone

I brani citati sono tratti dal libro confezionato con molta cura da Silvia Dionisi, Lucilla Lucchese e Arianna Ballabene:

L’impegno di vivere – Pagine in ricordo di Tommaso Padoa Schioppa, a cura di Costanza, Caterina e Camillo Padoa Schioppa, L’Altracittà Media e Arti, Roma, 2020.

Nel segno di Cambellotti – Virgilio Retrosi artista e artigiano

Si può visitare fino al 2 giugno 2024, presso la Casina delle Civette di Villa Torlonia a Roma, la mostra Nel segno di Cambellotti – Virginio Retrosi artista e artigiano https://www.museivillatorlonia.it/it/mostra-evento/nel-segno-di-cambellotti-virgilio-retrosi-artista-e-artigiano

Virginio Retrosi (Roma 1892-1975), amico e allievo di Duilio Cambellotti, ha svolto la sua attività artistica prevalentemente come ceramista e illustratore. Da illustratore collaborò a lungo con l’Ente Nazionale Italiano per il Turismo.

Sono esposti nella mostra presso la Casina delle Civette i disegni preparatori del 1939, appartenenti oggi a una collezione privata, di ceramiche dedicate a paesi della provincia di Latina: Gaeta, Priverno, Minturno, Itri, Sezze, Sermoneta, Fondi, Norma e San Felice Circeo. Risale invece agli anni ’50 il bozzetto di un manifesto volto a promuovere Le spiagge dell’oblio e dell’amore fra Napoli e Roma: Minturno, Scauri, Formia, Gaeta, Serapo.

La mostra dell’artista poliedrico, attento osservatore, sperimentatore di tecniche, materiali e soggetti, è allestita nel museo dedicato alle arti decorative all’interno di Villa Torlonia, dove si possono ammirare tra l’altro vetrate disegnate da Cambellotti e Paschetto.

di Massimo Leone

Gloria Raimondi, Gaia Dammacco (a cura di), Nel segno di Cambellotti – Virgilio Retrosi artista e artigiano, Gangemi Editore, Roma, 2023.

L’immagine in evidenza è la scansione di una pagina del libro, catalogo della mostra.

L’uomo a una dimensione. L’ideologia della società industriale avanzata.

«Aggiungerei un’altra componente che ha una lunga incubazione e che si espresse soprattutto in importanti manifestazioni culturali, mi riferisco alla rottura dell’ordine gerarchico nella sfera privata, alla contestazione dell’autorità che passa dalla liberazione sessuale, al rifiuto della cultura e della scienza trasmessa dall’alto, alla messa in discussione dei rapporti nella famiglia. Insomma tutta la componente culturale, che ha come riferimento principale Marcuse ed è racchiusa nella parola “contestazione“, in cui ci si riconosceva come generazione» dice Maria Luisa Boccia parlando delle componenti fondamentali che diedero origine ai movimenti del ’68, nell’intervista raccolta da Pino Santarelli in Io c’ero.

Secondo Rossana Rossanda, Marcuse «spostava il soggetto dalla classe operaia, in nome della quale continuavano a parlare i tiepidi partiti della sinistra, a un soggetto non più proletario e progressista ma marginalizzato e antisviluppista; gli studenti se ne sentivano fratelli, massa acculturata e deprezzata che non poteva né desiderava diventare la nuova leva dirigente dell’ordine dato.»

Il libro più noto e forse più influente di Herbert Marcuse, L’uomo a una dimensioneL’ideologia della società industriale avanzata, era uscito in inglese a Boston nel 1964, mentre Giulio Einaudi Editore aveva pubblicato la traduzione italiana (a cura di Luciano Gallino e Tilde Gianni Gallino) nel 1967.

Scriveva Marcuse nell’introduzione:

«L’analisi è centrata sulla società industriale avanzata, in cui l’apparato tecnico di produzione e distribuzione (con un settore sempre più ampio in cui predomina l’automazione) funziona non come la somma di semplici strumenti, che possono essere isolati nei loro effetti sociali e politici, ma piuttosto come un sistema che determina a priori il prodotto dell’apparato non meno che le operazioni necessarie per alimentarlo ed espanderlo. In questa società l’apparato produttivo tende a divenire totalitario nella misura in cui determina non soltanto le occupazioni, le abilità e gli atteggiamenti socialmente richiesti, ma anche i bisogni e le aspirazioni individuali. In tal modo esso dissolve l”opposizione tra esistenza privata ed esistenza pubblica, tra i bisogni individuali e quelli sociali. La tecnologia serve per istituire nuove forme di controllo sociale e di coesione sociale, più efficaci e più piacevoli. La tendenza totalitaria di questi controlli sembra affermarsi in un altro senso ancora – diffondendosi nelle aree meno sviluppate e persino nelle aree preindustriali del mondo, creando aspetti simili nello sviluppo del capitalismo e del comunismo.

Di fronte ai tratti totalitari di questa società, la nozione tradizionale della «neutralità» della tecnologia non può più essere sostenuta. La tecnologia come tale non può essere isolata dall’uso cui è adibita; la società tecnologica è un sistema di dominio che prende ad operare sin dal momento in cui le tecniche sono concepite ed elaborate.»

Contro questo sistema totalitario era rivolta la contestazione menzionata da Maria Luisa Boccia.

Nato da una famiglia ebraica, socialista, costretto a fuggire dalla Germania nel 1933, Marcuse non usava certo con leggerezza il termine “totalitarismo”. Nel capitolo I di L’uomo a una dimensione il sociologo sosteneva che:

«In virtù del modo in cui ha organizzato la propria base tecnologica, la società industriale contemporanea tende ad essere totalitaria. Il termine «totalitario», infatti, non si applica soltanto a una organizzazione politica terroristica della società, ma anche a una organizzazione economico tecnica, non terroristica, che opera la manipolazione dei bisogni da parte degli interessi costituiti. Essa preclude per tal via l’emergere di una opposizione efficace contro l’insieme del sistema. Non soltanto una forma specifica di governo o di dominio partitico producono il totalitarismo, ma pure un sistema specifico di produzione e di distribuzione, sistema che può essere benissimo compatibile con un un «pluralismo» di partiti, di giornali, di «poteri controbilanciantisi» ecc.»

Le difficoltà evidenti in tutto il mondo all’«emergere di una opposizione efficace contro l’insieme del sistema» mi fanno pensare che, a sessanta anni dalla sua pubblicazione, l’opera più nota di Herbert Marcuse abbia ancora qualcosa da dirci.

di Massimo Leone

Herbert Marcuse, L’uomo a una dimensione – L’ideologia della società industriale avanzata, traduzione di Luciano Gallino e Tilde Gianni Gallino, Giulio Einaudi Editore, Torino, 1967 (diciassettesima edizione, 1977).

La citazione di Maria Luisa Boccia è tratta da: Pino Santarelli, Io c’ero – Dal Luglio ’60 al crollo del Muro: i comunisti romani si raccontano, Bordeaux, Roma, 2023.

La citazione di Rossana Rossanda è tratta da: Rossana Rossanda, La ragazza del secolo scorso, Giulio Einaudi Editore, Torino, 2005.

Le sbarre non fermano i pensieri

Annamaria Repichini nasce a Trastevere nel 1951, nell’ex caserma Lamarmora. Una stanza è l’unica camera da letto della della sua famiglia, il locale attiguo funge da cucina, sala da pranzo e laboratorio da ciabattino di Santino, suo padre. A Trastevere, nel dopoguerra, le migliori clienti di Santino sono le prostitute, che «usuravano parecchio le scarpe e pagavano con tranquillità». 

Nel 1955 la famiglia di Annamaria ottiene una casa popolare ad Acilia, appena costruita. La casa è bella, i dintorni pieni di papaveri fioriti, ma Santino perde il lavoro: nel nuovo quartiere dormitorio non ha clienti. L’inverno del 1956 è particolarmente freddo, colpito da una polmonite Santino in pochi giorni muore (i suoi polmoni molto probabilmente erano già provati dalle sostanze inalate lavorando). Inizia per Annamaria un periodo difficile.

Con molto impegno Annamaria riesce a terminare le scuole medie, si iscrive a un corso di figurinista che deve lasciare per impegni familiari, infine trova lavoro alla Standa. Segna la sua vita l’incontro, a diciotto anni, con un personaggio definito «fascinoso e ambiguo» nella quarta di copertina, Francesco Arancio, elegante italo-tunisino di quindici anni maggiore, di cui dieci trascorsi in carcere per una condanna ingiusta. Va a vivere con Francesco, superando la contrarietà dei sui familiari, lo sposa e conduce con lui una vita intensa e avventurosa, intraprende diverse attività spesso al confine tra lecito e illecito, ha una figlia (Sonia), si sposta tra diversi quartieri di Roma: Centocelle, Torre Angela, La Rustica, Flaminio, Tor Bella Monaca.

Proprio a Tor Bella Monaca, Sonia conosce Massimiliano, dopo due anni i giovani si sposano e hanno un figlio. Massimiliano non era il marito che i genitori potevano sognare per la figlia, «Viveva di lavoretti saltuari, sempre precari e mal pagati, arrotondava con affari di dubbia legalità.» Ma, racconta Annamaria, «in fondo, mia figlia con lui aveva trovato la possibilità di costruire qualche cosa.» Con l’aiuto dei genitori di Sonia, la giovane famiglia riesce comunque a trovare un equilibrio.

I guai veri iniziano quando «grazie alle amicizie di Franco» Massimiliano «trovò un vero lavoro, stabile, con uno stipendio buono».

«Proprio questa sicurezza, provocò una serie di decisioni sbagliate, a catena. Lui non era né cattivo né stupido, solo che era la prima volta, nella sua vita, che aveva uno stipendio di quel tipo. Cascò nelle trappole delle finanziarie: volle comprare una casa e fece un mutuo, fece acquisti indebitandosi … le cose gli sfuggirono di mano e a quel punto la famiglia si trovava in difficoltà, in modo ben più serio di prima.

Nel periodo precedente viveva una situazione in cui si poteva raggirare o essere raggirati, truffare o essere truffati, rubare o essere derubati, ma erano danni relativi e facevano parte delle cose che si dovevano sapere per sopravvivere. … erano comunque danni limitati e rischi calcolati; ora invece si trovava in una situazione in cui c’erano truffe e trappole (perfettamente legali!) alle quali non era per nulla preparato e da cui non sapeva difendersi.»

Le tensioni dovute alla nuova situazione mandano definitivamente in crisi, dopo ventitré anni, il matrimonio con Franco. Da Sonia e Massimiliano nascono tre figli, il maggiore, Tiziano, rende bisnonna Annamaria, che cerca di aiutare in ogni modo la famiglia di sua figlia, ma non valuta bene la portata delle proprie azioni e finisce in carcere a sessantaquattro anni.

Donna forte e generosa, nel carcere diventa un punto di riferimento tanto che la direttrice chiede il suo aiuto in situazioni particolarmente delicate. A Rebibbia trova anche il modo di prendersi cura di sé, come non aveva potuto mai fare da quando era stata costretta ad abbandonare la scuola: recita in teatro, si cimenta nella scrittura e nella sceneggiatura, pubblica testi su Noi donne e in libri collettivi, partecipa al progetto “L’evasione possibile” del Centro Sociale Evangelico Valdese di Firenze, finanziato con il contributo dei fondi Otto per Mille della Chiesa Valdese, da cui è nato questo libro.

Annamaria è tornata a occuparsi della famiglia, da quando ha scontato ai domiciliari per motivi di salute l’ultima parte della pena detentiva, e sta lavorando a una biografia di Francesco Arancio.

Le sbarre non fermano i pensieri è un libro piacevole alla lettura, frutto di un complesso lavoro collettivo che ne costituisce sicuramente un motivo di interesse, ma è importante anche per i contenuti, come scrive nella prefazione Patrizia Barbanotti. Si tratta infatti di un racconto, da un punto di vista non convenzionale, dell’Italia del boom economico, delle trasformazioni della città di Roma, dei cambiamenti nei valori (dall’emancipazione delle donne all’imposizione di nuovi stereotipi), degli effetti delle politiche sociali e per la casa.

Nella prefazione Patrizia Barbanotti sottolinea anche la centralità con la quale si presenta nel libro il tema della giustizia, dalle ingiustizie sociali subite dall’autrice, a come una condanna ingiusta abbia segnato la vita di Francesco Arancio, ai torti subiti dai carcerati (che hanno come conseguenza anche tante morti troppo precoci).

Da sempre opto per la Chiesa Valdese nell’attribuzione dell’otto per mille, sono molto contento di aver contribuito a finanziare progetti come quello che ha sostenuto la realizzazione di Le sbarre non fermano i pensieri.

di Massimo Leone

Annamaria Repichini, Le sbarre non fermano i pensieri, Contrabbandiera Editrice, Firenze, 2023. A cura di Patrizia Barbanotti, Postfazione di Paola Ortensi.

Nella foto Annamaria Repichini (prima a destra sul divano) presenta Le sbarre non fermano i pensieri presso la libreria L’Altracittà a Roma, l’11 marzo 2023, con Patrizia Barbanotti e Paola Ortensi, redattrice di Noi Donne.

La convivialità

Nel 1973 Ivan Illich pubblicava La convivialità. Nella quarta di copertina dell’edizione negli Oscar Mondadori l’autore era presentato così: Ivan Illich (Vienna 1926) ha compiuto studi di cristallografia, storia e filosofia e, dopo aver lavorato a New York e diretto l’Università Cattolica di Porto Rico, ha fondato a Cuernavaca il Cidoc. Tra le sue opere ricordiamo: «Descolarizzare la società» (1972) e «La nemesi medica» (1977).

Scrive Illich nell’introduzione al libro:

«Se vogliamo poter dire qualcosa sul mondo del futuro, disegnare i contorni di una società a venire che non sia iper-industriale, dobbiamo riconoscere l’esistenza di scale e limiti naturali. L’equilibrio della vita si dispiega in varie dimensioni; fragile e complesso non oltrepassa certi limiti. Esistono delle soglie che non si possono superare. La macchina non ha soppresso la schiavitù umana, ma le ha dato una diversa configurazione. Infatti, superato il limite, lo strumento da servitore diventa despota. Oltrepassata la soglia, la società diventa scuola, ospedale, prigione, e comincia la grande reclusione. Occorre individuare esattamente dove si trova, per ogni componente dell’equilibrio globale, questo limiti critico. Sarà allora possibile articolare in modo nuovo la millenaria triade dell’uomo, dello strumento e della società. Chiamo società conviviale una società in cui lo strumento moderno sia utilizzabile dalla persona integrata con la collettività, e non riservata a un corpo di specialisti che lo tiene sotto il proprio controllo. Conviviale è la società in cui prevale la possibilità per ciascuno di usare lo strumento per realizzare le proprie intenzioni.»

Nel 1972 il Club di Roma aveva pubblicato il rapporto pubblicato in Italia con il titolo I limiti dello sviluppo, che lanciava un allarme riguardo alle conseguenze che la crescita economica poteva avere sull’ambiente globale (https://viaitri.blog/2022/09/18/i-limiti-dello-sviluppo/). Ivan Illich sosteneva che la crescita dell’economia, e in particolare del consumo di energia, oltre una certa soglia provocava inevitabilmente l’aumento inaccettabile della disuguaglianza e la diminuzione della libertà.

di Massimo Leone

Ivan Illich, La convivialità, traduzione di Maurizio Cucchi, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1974. Prima edizione Oscar Saggi Mondadori, 1978.

Una sintesi efficace del pensiero di Ivan Illich si può leggere in: Vincenzo Rosito, Ivan Illich – Descolarizzazione, Iatrogenesi, Vernacolare, Convivialità, Pervertimento, DeriveApprodi, Roma, 2022.

Saggi di Ivan Illich sulla crisi ecologica, sul lavoro e sull’energia sono raccolti in Beyond Economics and Ecology – The Radical Thought of Ivan Illich, a cura di Sajay Samuel, Marion Boyars Publishers, London, 2013.

Il futuro elettrico. Sfide tecnologiche, costi e speranza della transizione energetica.

Il futuro elettrico è il secondo volume pubblicato dalle Edizioni Dedalo nella collana SottoInchiesta, diretta da Riccardo Iacona, che ha lo scopo di “raccontare l’attualità, la scienza e la nostra società attraverso indagini giornalistiche di approfondimento”. Nella stessa collana è stato pubblicato il libro di Alessandro Macina Il polmone blu (https://viaitri.blog/2023/07/22/il-polmone-blu-salvare-gli-oceani-per-combattere-il-riscaldamento-globale/). Brecciaroli e Laganà sono entrambi inviati della trasmissione televisiva Presa diretta.

Il futuro elettrico descrive, con dati e interviste a protagonisti impegnati sul campo, i diversi aspetti della transizione energetica, come gli investimenti necessari, i problemi ambientali e politici dell’approvvigionamento di materie prime, le prospettive dell’innovazione tecnologica, il fine vita dei prodotti. Il libro raccoglie anche testimonianze di ricercatori, imprenditori e manager impegnati in Italia nella transizione energetica.

Erik Tazzari nel 2006 ha fondato a Imola la Tazzari EV, che produce citycar elettriche realizzate in gran parte all’interno dell’azienda, dalla progettazione alla fusione dei telai in alluminio, passando per il software delle batterie al litio. Sempre nella motor valley emiliana, a Modena, l’Energica Motor Company, diretta da Giampiero Testoni, costruisce moto elettriche ultrasportive. A partire da celle di provenienza asiatica, Energica progetta e realizza in proprio anche le batterie. Preoccupato per la filiera estrattiva, Testoni spera nella collaborazione con i grandi produttori del settore automotive, per poter chiedere ai produttori di celle garanzie in merito alla provenienza dei materiali.

In Campania, a Teverola, la FAAM guidata dal Cavaliere del Lavoro Federico Vitali ha realizzato il primo stabilimento in Europa meridionale che produce celle per batterie al litio, per ora con un progetto pilota. La FAAM da tempo utilizza la miscela litio-ferro-fosfato, evitando di usare cobalto, prodotto in gran parte nella Repubblica Democratica del Congo con un duro sfruttamento della manodopera. Il processo produttivo utilizza acqua invece di solventi chimici, riducendo molto gli impatti ambientali.

Nel campo del recupero di materie prime critiche, la Divisione Ricerche e Sviluppo deI Cobat, diretta da Luigi De Rocchi, ha messo a punto un processo che consente di recuperare il 95% del litio contenuto nelle batterie, con la collaborazione dell’Istituto di Chimica dei Composti Organo-Metallici del CNR di Firenze.

Il libro di Brecciaroli e Laganà è ricco di informazioni anche sulle politiche dell’Unione Europea e di iniziative nazionali in Spagna, Italia, Paesi Bassi e Germania per ridurre la dipendenza per l’approvvigionamento di materie prime, sviluppare le tecnologie necessarie alla transizione, sperimentare soluzioni innovative per la gestione sostenibile dell’energia. In questo ambito mi sembra particolarmente interessante l’esempio di come ad Amsterdam la Johan Cruijff ArenA è stata trasformata per contribuire con la produzione e l’accumulo dell’energia elettrica a rendere la città più sostenibile. Non credo si trovi qualcosa di analogo nel progetto del nuovo stadio della Roma a Pietralata.

Nell’ultimo capitolo, Le prossime sfide, alcune pagine sono dedicate alla questione dell’impatto della transizione energetica sull’occupazione. Come abbiamo visto, ci sono imprese che in Italia vogliono cavalcare la transizione energetica, invece di farsi travolgere. Leonardo Ugo Artico, capo del Dipartimento sviluppo industriale di Motus-E, associazione che raggruppa esponenti del mondo industriale e accademico interessati alla mobilità elettrica, ci avverte che:

«Affinché l’Italia abbia un ruolo attivo in questo futuro elettrico, ci deve essere un approccio scientifico e molto serio alle politiche industriali, basato sulla consapevolezza di chi sono i soggetti che stanno pensando al mondo elettrico e di quali competenze hanno bisogno. L’alternativa è rimanere davvero indietro e tra vent’anni il gap non potrà più essere colmato.»

Di Massimo Leone

Marcello Brecciaroli, Giuseppe Laganà, Il futuro elettrico. Sfide tecnologiche, costi e speranza della transizione energetica. Edizioni Dedalo, Bari. 2022.

Nella fotografia, Riccardo Iacona presenta Il futuro elettrico e Il polmone blu a Pescasseroli. Con lui sono il direttore dell’Area marina protetta Regno di Nettuno, Antonio Miccio, e il direttore del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise, Luciano Sammarone. Legge alcuni brani, Alice De Matteis.

Il polmone blu. Salvare gli oceani per combattere il riscaldamento globale.

Alessandro Macina, inviato di Presa Diretta fin dal 2009, viaggia da molto tempo in tutto il mondo per realizzare reportage sulla crisi climatica e ambientale. Nel 2013 ha ottenuto il XIX premio Ilaria Alpi e nel 2019 il Premio Nazionale di Divulgazione Scientifica Giancarlo Dosi per il suo reportage sui cambiamenti climatici.

Nel libro Il polmone blu, pubblicato all’interno della collana SottoInchiesta diretta da Riccardo Iacona, Macina ha condensato i risultati di 5 anni di trasferte su tutti i mari del pianeta, dedicati a raccogliere evidenze e ad ascoltare esperti, sui cambiamenti climatici e su come questi alterano gli ecosistemi marini.

Il titolo del libro ci ricorda che si forma nel mare la metà dell’ossigeno disponibile per la nostra respirazione. Il fitoplancton, formato dalle numerosissime piccole alghe che flottano nel mare, oltre a essere alla base delle reti alimentari degli ecosistemi acquatici, produce un’enorme quantità di ossigeno. Ma non bisogna trascurare nemmeno il contributo delle praterie sottomarine. Un prateria di Posidonia oceanica è in grado di assorbire il doppio dell’anidride carbonica, rispetto a una foresta che abbia la stessa superficie. Se venisse meno la capacità della vita negli oceani di fissare l’anidride carbonica e liberare ossigeno, la crisi climatica sarebbe molto più grave e repentina.

Una prateria di posidonia ben conservata, che diventa più fitta di anno in anno, si trova tra le isole di Ventotene e Santo Stefano. L’istituzione di un’area protetta marina, ponendo limitazioni alla pesca e all’ancoraggio delle barche, permette di prosperare a questo prezioso habitat, che ospita fino a 350 specie di pesci e di invertebrati in un ettaro. Lo stesso non si può dire purtroppo sullo stato di salute della prateria di posidonia adagiata sui fondali tra Sperlonga e Terracina, assolutamente priva di tutela nonostante rappresenti una Zona Speciale di Conservazione istituita dall’Unione Europea secondo la Direttiva Habitat.

Dopo il primo capitolo dedicato al Mediterraneo, il secondo e il terzo raccontano dei quello che succede negli Stati Uniti, dove in Louisiana come in Florida sono i più poveri a essere colpiti per primi dalle conseguenze dei cambiamenti climatici, con le loro case che diventano inagibili a causa degli uragani e dell’innalzamento del livello del mare.

Se ci chiediamo come mai tanti arrivano in Italia dal Bangladesh, troviamo qualche spiegazione nel capitolo quattro. Scrive Macina che in questo paese abitato da 160 milioni di persone:

«L’intrusione di acqua salata sta lasciando milioni di persone delle zone costiere con poco o niente da bere e da mangiare. Si è calcolato che l’erosione delle coste e delle sponde del fiume stia sfollando fino a 400 000 persone ogni anno, senza contare quelli costretti a fuggire ogni volta che un nuovo ciclone colpisce la costa. … Per ora è un esodo soprattutto interno al Bangladesh, dalla costa verso la megalopoli di Dacca, un’area metropolitana di 18 milioni di abitanti. … È una città in overbooking, in cui non c’è più nemmeno un posto libero.»

Il quinto capitolo è dedicato alla COP 27, ventisettesima Conference of Parties, incontro annuale dei paesi che hanno sottoscritto la Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici, svoltasi nel 2022 in Egitto, e ai suoi deludenti risultati.

Il sesto e il settimo capitolo sono dedicati rispettivamente all’Antartide, dove si osserva uno scioglimento accelerato dei ghiacciai che potrebbe far innalzare repentinamente il livello del mare in tutto il mondo, e all’Artico. In questa regione del pianeta un problema specifico è l’acidificazione del mare, dovuta all’apporto di acqua dolce proveniente dallo scioglimento dei ghiacciai, che sta mettendo a rischio la sopravvivenza del merluzzo e di altre specie ittiche.

Il capitolo otto si intitola Hotspot Mediterraneo, e tratta nuovamente del nostro mare, che è «un “hotspot”, un punto caldo del clima. È un luogo in cui il cambiamento climatico avviene più velocemente rispetto al resto del mondo». Lo strato di acqua con temperatura più alta sulla del Mediterraneo diventa sempre spesso e questo fatto minaccia la sopravvivenza di molte specie endemiche, come le diverse gorgonie. Si diffondono invece specie originarie di mari più caldi, che entrano nel Mediterraneo attraverso il canale di Suez. Il riscaldamento del Mediterraneo provoca anche la crescente frequenza di eventi estremi:

«precipitazioni più intense e concentrate nel tempo e nello spazio; trombe marine e cicloni, anomalie per un bacino chiuso e dalla condizioni una volta stabili; fenomeni del tutto nuovi come i medicane che hanno colpito più volte la Sicilia, uragani mediterranei, dalla crasi delle parole mediterranean e hurricane

Nella Conclusione Alessandro Macina ci sollecita all’azione:

«La ricetta è quella che tutti sappiamo e che la scienza ci chiede da trent’anni: mitigazione e adattamento, sostenibilità, riduzione dei consumi, efficienza, equilibrio. … Abbiamo una gigantesca opportunità tra le mani, probabilmente la più grande nella storia dell’uomo e non possiamo sprecarla. Ma dobbiamo agire in fretta.» … «L’unica grande arma che tutti possiamo e dobbiamo usare è il voto. Abbiamo bisogno di nuovi leader, gente che sia nata e cresciuta negli anni delle crisi climatica»

Alessandro Macina ci ha messo a disposizione un libro molto utile, per conoscere e per agire.

di Massimo Leone

Alessandro Macina, Il polmone blu. Salvare gli oceani per combattere il riscaldamento globale. Prefazione di Riccardo Iacona. Edizioni Dedalo, Bari, 2023.

Nella foto, scattata in occasione della presentazione di Il polmone blu presso la darsena di Sperlonga nell’ambito di Libridamare 2023, vediamo da sinistra a destra Giorgio Anastasio (associazione Posidonia), Alessandro Macina e Giovanni Castorina (associazione Golfo Vivo).

Granelli di sabbia. Una guida per camminare sul bordo del mare.

Enzo Pranzini insegna Dinamica e difesa dei litorali presso l’università di Firenze, è stato responsabile di progetti su questi temi in Europa, Asia e Africa, dirige la rivista Studi costieri, è stato uno dei fondatori del “Gruppo Nazionale per la Ricerca sugli Ambienti Costieri” (GNRAC).

Nel libro “Granelli di sabbia” Pranzini ha raccolto una serie di articoli pubblicati nell’omonima rubrica, sulla rivista on-line Mondo balneare.

«Questo libro» scrive Pranzini nell’introduzione «vuole essere il vostro compagno di viaggio lungo i 440.000 km delle coste del mondo.» Un compagno di viaggio che ci aiuta ad intepretare quello che ogni osservatore attento può vedere, lungo il confine tra mare e terra (la costa) dove vive gran parte dell’umanità.

Particolare attenzione viene riservata nel libro alla sabbia, perchè essa «muove un’economia che va dal bagnino, al ristorante, al negozio di moda, al benzinaio e che raggiuge rapidamente le multinazionali del turismo, dei trasporti, dell’energia e dell’elettronica, tanto da far ipotizzare che le prossime guerre saranno causate non dalla conquista dell’acqua ma della sabbia .»

Il libro è articolato in cinque sezioni: La spiaggia, La forma delle coste, I movimenti del mare, L’uomo sulle coste, La difesa dei litorali. L’autore ci spiega che cos’è la sabbia e da dove viene, perchè sono importanti le dune costiere, come dobbiamo intepretare le forme delle coste in modo da evitare errori nella gestione, come agiscono onde e maree e cosa possiamo fare per adattarci ai cambiamenti climatici, quale impatto sul litorale hanno le ferrovie, i porti e altre infrastutture, quali errori bisogna evitare nella difesa dei litorali dall’erosione e quali pratiche sono più efficaci e meno dannose.

Nel capitolo 41. “Setti sommersi: il trucco c’è ma non si vede” Pranzini parla dei pennelli trasversali, realizzati per difendere le spiagge dall’erosione, che non emergono dall’acqua, i cosiddetti “setti sommersi”. Questa soluzione fu applicata per la prima volta in Italia negli anni ’80 a Terracina, su progetto dell’ingegnere Giorgio Berriolo, sostenuto da Gabriele Panizzi, che in quel periodo aveva ricoperto i ruoli di assessore regionale e di presidente della giunta regionale del Lazio. Questi setti, a differenza dei pennelli, non bloccano il flusso dei sedimenti e hanno un impatto molto contenuto sul paesaggio e sulla qualità delle acque costiere.

Consiglio la lettura di questo libro a chi va al mare in estate, per interpretare il paesaggio in cui si trova immerso, ma ancora di più a chi ama passeggiare lungo le coste nelle altre stagioni.

di Massimo Leone

Enzo Pranzini, Granelli di sabbia. Una guida per camminare sul bordo del mare., Pacini Editore, Pisa, 2021.

Nella foto vediamo da sinistra verso destra Sergio Cappucci, Gabriele Panizzi, Andrea Rega ed Enzo Pranzini in occasione della presentazione di Granelli di sabbia presso la darsena di Sperlonga, l’11 giugno 2023.