Dieci anni fa, nel 2014, moriva a causa di un linfoma il sostituto commissario di polizia Roberto Mancini. Nel 2015 gli veniva conferita la Medaglia d’oro al Valor civile “Per essersi prodigato, nell’ambito della lotta alle ecomafie (…), nell’attività investigativa per l’individuazione, nel territorio campano, di siti inquinati da rifiuti tossici illecitamente smaltiti. L’abnegazione e l’incessante impegno profuso, per molti anni, nello svolgimento delle indagini gli causavano una grave patologia che ne determinava prematuramente la morte”.
Nato a Roma nel 1961, Mancini frequenta negli anni’70 il liceo classico Augusto, dove partecipa attivamente al “Collettivo Politico Augusto” e in seguito aderisce a Democrazia Proletaria. Ricorda Enrico Fontana che «A volte era spietato, stronzo, rigido e capoccione. Erano i suoi unici difetti. Per il resto era una personalità gioiosa, esilarante e intelligente».
Terminate le scuole superiori, Roberto sorprende la madre e gli amici annunciando che ha deciso di arruolarsi nella Polizia. Poco dopo il giuramento viene destinato al Ucigos – Ufficio centrale per le investigazioni generali e le operazioni speciali – presso il Ministero dell’interno, dove viene presto identificato come il poliziotto con il manifesto sotto il braccio. Dopo essere stato destinato a varie sedi in Toscana e Umbria, alla metà degli anni ’80 torna a Roma, presso la Criminalpol.
Ottimo investigatore, Roberto Mancini ha un ruolo importante nella cattura di diversi latitanti appartenenti alla criminalità organizzata, tra cui Angelo Moccia, leader della Nuova famiglia, gli antagonisti della Nuova Camorra Organizzata guidata da Raffaele Cutolo. Moccia viene arrestato sul suo yacht a Gaeta, a seguito di indagini condotte nel Lazio meridionale alle quali Mancini dà un contributo determinante, agendo anche da infiltrato.
Roberto Mancini conduce l’indagine che porterà nel 1994 alla chiusura, quarantotto ore prima dell’apertura degli sportelli, della Banca Industriale del Lazio di Cassino. Dei 25 miliardi di cui è composto il capitale sociale della banca, seicento milioni sono stati sottoscritti dall’avvocato Cipriano Chianese, altrettanti da sua sorella e sua moglie. Dalle indagini risulta che le tre società finanziarie che hanno ampie quote della nascente banca si sono sviluppate negli anni in cui «le formazioni camorristiche del napoletano e del casertano facevano il loro ingresso nel business del traffico dei rifiuti».
Al centro di quel traffico c’è proprio l’avvocato Chianese, che mantiene rapporti con esponenti di primissimo piano della camorra, come Francesco Bidognetti, importanti imprese come quella che inviano alle discariche campane i rifiuti industriali provenienti dall’Acna di Cengio, dall’Italsider di Taranto e dalla centrale Enel di Brindisi, generali dei Carabinieri come Domenico Cagnazzo e del Corpo Forestale dello Stato come Cesare Patrone, finanzieri come Ennio Doris.
Nonostante l’informativa prodotta da Roberto Mancini e inviata alla Procura di Napoli con la firma del suo dirigente Nicola Cavaliere nel 1996, Chianese può continuare le sue attività illecite fino al 2006, quando viene arrestato. Nel 1996 si candida anche alla Camera dei Deputati nella lista di Forza Italia ma non viene eletto. Nel 2011 la magistratura riapre l’informativa del ’96 e chiede a Mancini di svolgere nuove indagini (che lui porta a termine nonostante fosse sia già gravemente malato) i cui risultati sono condensati nella nuova informativa consegnata nel 2013.
Dopo aver collaborato presso la Camera dei Deputati con la Commissione bicamerale d’indagine sul ciclo dei rifiuti, presieduta da Massimo Scalia, dal 1997 al 2001, Mancini negli ultimi anni della sua vita presta servizio presso il commissariato del quartiere di San Lorenzo, a Roma, mentre lotta con la malattia che lo ha colpito. A San Lorenzo il sostituto commissario, grazie alla sua sensibilità per i problemi sociali, svolge spesso un ruolo di mediazione nella gestione di sgomberi abitazioni occupate. A seguito di un improvviso riacutizzarsi della malattia, Roberto Mancini si spegne a Perugia il 30 aprile del 2014.
Nel 2016 gli viene dedicata la sala teatro dell’Istituto Comprensivo Falcone e Borsellino, in via Giovanni da Procida a Roma. La sua vita ha ispirato la miniserie televisiva Io non mi arrendo, con Giuseppe Fiorello, trasmessa dalla RAI nel 2016.
Cipriano Chianese è stato condannato in via definitiva nel 2021 a diciotto anni di reclusione per associazione camorristica e inquinamento di acque, in relazione alle attività della discarica Resit di Giugliano in Campania. Nel 2013 la Corte di Cassazione ha reso definitiva la confisca dei suoi beni, tra cui un complesso alberghiero a Formia e una villa a Sperlonga. Dopo più di dieci anni dalla confisca questi beni, di grande valore anche simbolico, rimangono ancora inutilizzati.
di Massimo Leone
Luca Ferrari, Nello Trocchia, Io, morto per dovere, con prefazione di Giuseppe Fiorello e un contributo di Monika Dobrowolska Mancini, Chiarelettere editore, 2016.
Immagine in evidenza: La villa confiscata a Cipriano Chianese, a Sperlonga; fonte https://www.latina24ore.it/latina/20943/camorra-sequestrate-ville-di-lusso-a-sperlonga/
La Corte di Cassazione ha confermato nel 2024 la confisca della villa di Cipriano Chianese a Sperlonga https://www.temporeale.info/157118/argomenti/cronaca/sperlonga-confermato-provvedimento-di-confisca-della-villa-di-cipriano-chianese.html