Eppur si può! Saggi e istruzioni autobiografiche e “filo-possibiliste”

Luca Meldolesi ha da poco pubblicato Eppur si può! Saggi e istruzioni autobiografiche e “filo possibiliste”, nella collana dell’A Colorni-Hirshman International Institute per la quale ha curato raccolte di scritti di Eugenio Colorni, presso l’editore calabrese Rubbettino.

Il volume è composto da due parti. I saggi raccolti nella prima, In lotta con me stesso, illustrano il percorso intellettuale dell’autore che negli anni Settanta mette in discussione le sue certezze teoriche di economista e inizia un lungo viaggio in cui sono fondamentali gli incontri con Fernand Braudel e Albert Hirschman.

La seconda parte, Con (ed oltre) Albert Hirschman, raccoglie prevalentemente riflessioni degli anni Novanta quando Meldolesi, docente di economia presso l’Università Federico II di Napoli, si impegna a promuovere lo sviluppo del Mezzogiorno mettendo in campo la principale leva a sua disposizione, gli allievi.

Per realizzare uno “sbloccamento” e far emergere le risorse nascoste degli allievi, scrive Luca Meldolesi in una nota del maggio 1995, usa il “metodo dell’affetto”, che possiamo considerare un peculiare stile di leadership.

..l’interlocutore deve sentire che sto cercando di mettermi nei suoi panni, di vedere le cose dal suo angolo visuale; che faccio il possibile per sostenerlo, per aiutarlo, per aprigli prospettive ecc. Questa spinta affettiva … non può lasciarlo indifferente.

Alle volte si tratta del primo passo di uno “sbloccamento”. Più o meno coscientemente, la persona con cui parliamo è alla ricerca dei bandoli della propria matassa. Ella ha orientamenti consapevoli che non corrispondono in realtà alle sue esigenze più profonde di emancipazione personale. Entrare in rapporto affettivo approfondito e nello stesso tempo sostenere la necessità del cambiamento consente alla persona, per quanto confusamente, di vedere qualcosa di nuovo, di capire e di capirsi.  Da qui la percezione delle possibilità che gli si aprono dinanzi. Ella si sentirà rassicurata, incoraggiata, stimata, fino al punto di trovare la forza di agire. … Il soggetto comincerà a riconoscersi nel metodo dell’affetto, nel volersi bene.

            Il “metodo dell’affetto” si basa sul principio del “dare per ricevere”. La sua forza d’urto risieda nella generosità – non si è abituati che gli altri si preoccupino dei fatti nostri. … se poi esso (l’interessamento n.d.r.) conduce a un risultato positivo, non possiamo fare a meno di provare gratitudine per chi lo ha posto in essere.

            …. Il bisogno che ho di sentire il vostro affetto è legato a un’altra esigenza: quella di vedere nei vostri progressi i miei progressi. …. È un successo a cui tengo moltissimo. Il mio instancabile bisogno di salire e di farvi salire, di migliorare la qualità del lavoro – magari per strade diverse – sfocia dunque nel desiderio di una straordinaria fioritura. Si è veramente utili (a sé, agli altri, al Mezzogiorno) solo se si diventa veramente “bravi”.

            … Il metodo dell’affetto insegna a dare per ricevere. Chi non lo ha praticato deve apprenderlo: bisogna fargli capire in ogni modo possibile, …, che non può pretendere di ricevere senza imparare a dare, a dare più di quanto si riceve. Solo così, miracolosamente, egli riceverà abbastanza.

Un anno dopo, nel mese di luglio 1996, alla luce dell’esperienza vissuta, il professore aggiunge questi caveat:

  1. Il dare per ricevere non può fare a meno del suo reciproco: se non c’è feedback non si è più in grado di dare.
  2. Il dare per ricevere deve essere sia verticale, sia orizzontale; deve riguardare persone diverse nei due sensi e deve svilupparsi come conseguenza naturale dell’autorealizzazione individuale: chi ha ottenuto un buon risultato deve sentirsi incoraggiato a dare di più.
  3. Bisogna che tutti applichino il metodo dell’affetto e che si sforzino di dare effettivamente un po’ di quanto ricevono. Solo così il nostro cronico deficit di direzione può trasformarsi in un comodo surplus.

Ancora in un’altra nota, sempre del luglio 1996, Meldolesi aggiunge considerazioni metodologiche, sulla giusta predisposizione al metodo dell’affetto:

      … Bisogna entrare con gli altri in un rapporto di empatia se si vuole ricevere un impulso vero che va poi elaborato al fine di prendere una qualsiasi decisione (di sostegno, di estensione o di critica).  Si tratta, insegna Colorni, di disporre i nostri sensi in posizione ricettiva, tenendo a freno la nostra soggettività, ma anche sviluppando un acuto interesse per gli altri, per le loro vicende, per la ricchezza umana che essi portano con sé.

      L’esercizio continuo di queste relazioni ha come effetto secondario di accrescere la nostra conoscenza del metodo dell’affetto e dei suoi risultati su almeno tre piani: quello della tipologia delle diverse situazioni, quello delle vie molteplici tramite cui si dipanano e si liberano le energie personali, e quello delle politiche adatte a far funzionare bene questo metodo e dunque a produrre surplus di direzione e iniziativa.

      Dopo aver esaminato come varie circostanze e predisposizioni influiscono sulla capacità di applicare il metodo dell’affetto conclude che il soggetto in grado di impostare bene il metodo dell’affetto è quello che:

  • si trova in buona salute e progredisce con metodo ….;
  • sa trovare strade di avanzamento per sé e per gli altri;
  • sa fare interventi di emergenza (…), ma ha anche una percezione attenta delle manchevolezze altrui;
  • sa stare perennemente sul chi vive: sa prevenire le tensioni negative; e interviene in modo consapevole e determinato per disperderle.

Per ricorrere a una metafora: è un personaggio che, strombettando, guida a buona andatura una piccola carovana per un’improbabile strada di montagna.

Nell’introduzione, a pagina 41, Meldolesi ci dice che il metodo dell’affetto si può chiamare anche dell’amore, come imparerà in seguito da Eugenio Colorni (della forza e vitalità dell’amore secondo Colorni scriverò in una prossima nota).

Ha funzionato il metodo dell’affetto? Le iniziative dei suoi allievi in Campania e in altre aree del Mezzogiorno, a molti anni di distanza da quando il professore ha lasciato l’insegnamento a Napoli , ci dicono – mi pare – che ha funzionato. Una di queste iniziative ce la racconta l’allievo Franco Cioffi nel suo recente libro Scuola d’impresa diffusa (https://viaitri.blog/2020/11/17/scuola-dimpresa-diffusa)

Eppur si può! Saggi e istruzioni autobiografiche e “filo-possibiliste”, di Luca Meldolesi, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2020.

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