Annamaria Repichini nasce a Trastevere nel 1951, nell’ex caserma Lamarmora. Una stanza è l’unica camera da letto della della sua famiglia, il locale attiguo funge da cucina, sala da pranzo e laboratorio da ciabattino di Santino, suo padre. A Trastevere, nel dopoguerra, le migliori clienti di Santino sono le prostitute, che «usuravano parecchio le scarpe e pagavano con tranquillità».
Nel 1955 la famiglia di Annamaria ottiene una casa popolare ad Acilia, appena costruita. La casa è bella, i dintorni pieni di papaveri fioriti, ma Santino perde il lavoro: nel nuovo quartiere dormitorio non ha clienti. L’inverno del 1956 è particolarmente freddo, colpito da una polmonite Santino in pochi giorni muore (i suoi polmoni molto probabilmente erano già provati dalle sostanze inalate lavorando). Inizia per Annamaria un periodo difficile.
Con molto impegno Annamaria riesce a terminare le scuole medie, si iscrive a un corso di figurinista che deve lasciare per impegni familiari, infine trova lavoro alla Standa. Segna la sua vita l’incontro, a diciotto anni, con un personaggio definito «fascinoso e ambiguo» nella quarta di copertina, Francesco Arancio, elegante italo-tunisino di quindici anni maggiore, di cui dieci trascorsi in carcere per una condanna ingiusta. Va a vivere con Francesco, superando la contrarietà dei sui familiari, lo sposa e conduce con lui una vita intensa e avventurosa, intraprende diverse attività spesso al confine tra lecito e illecito, ha una figlia (Sonia), si sposta tra diversi quartieri di Roma: Centocelle, Torre Angela, La Rustica, Flaminio, Tor Bella Monaca.
Proprio a Tor Bella Monaca, Sonia conosce Massimiliano, dopo due anni i giovani si sposano e hanno un figlio. Massimiliano non era il marito che i genitori potevano sognare per la figlia, «Viveva di lavoretti saltuari, sempre precari e mal pagati, arrotondava con affari di dubbia legalità.» Ma, racconta Annamaria, «in fondo, mia figlia con lui aveva trovato la possibilità di costruire qualche cosa.» Con l’aiuto dei genitori di Sonia, la giovane famiglia riesce comunque a trovare un equilibrio.
I guai veri iniziano quando «grazie alle amicizie di Franco» Massimiliano «trovò un vero lavoro, stabile, con uno stipendio buono».
«Proprio questa sicurezza, provocò una serie di decisioni sbagliate, a catena. Lui non era né cattivo né stupido, solo che era la prima volta, nella sua vita, che aveva uno stipendio di quel tipo. Cascò nelle trappole delle finanziarie: volle comprare una casa e fece un mutuo, fece acquisti indebitandosi … le cose gli sfuggirono di mano e a quel punto la famiglia si trovava in difficoltà, in modo ben più serio di prima.
Nel periodo precedente viveva una situazione in cui si poteva raggirare o essere raggirati, truffare o essere truffati, rubare o essere derubati, ma erano danni relativi e facevano parte delle cose che si dovevano sapere per sopravvivere. … erano comunque danni limitati e rischi calcolati; ora invece si trovava in una situazione in cui c’erano truffe e trappole (perfettamente legali!) alle quali non era per nulla preparato e da cui non sapeva difendersi.»
Le tensioni dovute alla nuova situazione mandano definitivamente in crisi, dopo ventitré anni, il matrimonio con Franco. Da Sonia e Massimiliano nascono tre figli, il maggiore, Tiziano, rende bisnonna Annamaria, che cerca di aiutare in ogni modo la famiglia di sua figlia, ma non valuta bene la portata delle proprie azioni e finisce in carcere a sessantaquattro anni.
Donna forte e generosa, nel carcere diventa un punto di riferimento tanto che la direttrice chiede il suo aiuto in situazioni particolarmente delicate. A Rebibbia trova anche il modo di prendersi cura di sé, come non aveva potuto mai fare da quando era stata costretta ad abbandonare la scuola: recita in teatro, si cimenta nella scrittura e nella sceneggiatura, pubblica testi su Noi donne e in libri collettivi, partecipa al progetto “L’evasione possibile” del Centro Sociale Evangelico Valdese di Firenze, finanziato con il contributo dei fondi Otto per Mille della Chiesa Valdese, da cui è nato questo libro.
Annamaria è tornata a occuparsi della famiglia, da quando ha scontato ai domiciliari per motivi di salute l’ultima parte della pena detentiva, e sta lavorando a una biografia di Francesco Arancio.
Le sbarre non fermano i pensieri è un libro piacevole alla lettura, frutto di un complesso lavoro collettivo che ne costituisce sicuramente un motivo di interesse, ma è importante anche per i contenuti, come scrive nella prefazione Patrizia Barbanotti. Si tratta infatti di un racconto, da un punto di vista non convenzionale, dell’Italia del boom economico, delle trasformazioni della città di Roma, dei cambiamenti nei valori (dall’emancipazione delle donne all’imposizione di nuovi stereotipi), degli effetti delle politiche sociali e per la casa.
Nella prefazione Patrizia Barbanotti sottolinea anche la centralità con la quale si presenta nel libro il tema della giustizia, dalle ingiustizie sociali subite dall’autrice, a come una condanna ingiusta abbia segnato la vita di Francesco Arancio, ai torti subiti dai carcerati (che hanno come conseguenza anche tante morti troppo precoci).
Da sempre opto per la Chiesa Valdese nell’attribuzione dell’otto per mille, sono molto contento di aver contribuito a finanziare progetti come quello che ha sostenuto la realizzazione di Le sbarre non fermano i pensieri.
di Massimo Leone
Annamaria Repichini, Le sbarre non fermano i pensieri, Contrabbandiera Editrice, Firenze, 2023. A cura di Patrizia Barbanotti, Postfazione di Paola Ortensi.
Nella foto Annamaria Repichini (prima a destra sul divano) presenta Le sbarre non fermano i pensieri presso la libreria L’Altracittà a Roma, l’11 marzo 2023, con Patrizia Barbanotti e Paola Ortensi, redattrice di Noi Donne.