Il regime fascista istituì i primi quattro parchi nazionali in Italia, ma distrusse preziosissimi ecosistemi come le paludi Pontine. Che voto merita in ambientalismo? Non intendono rispondere a questa domanda, con il loro libro La natura del duce, Marco Armiero, dirigente di ricerca presso l’Istituto per gli Studi sul Mediterraneo del CNR, Roberta Biasillo, storica dell’ambiente e docente di teoria politica presso l’Università di Utrecht, e Wiko Graf von Hardenberg, ricercatore in storia della politica e della scienza presso la Humboldt Universität di Berlino. Gli autori ritengono infatti che non esista un ambientalismo astratto, sempre uguale nel tempo, da usare come pietra di paragone.
Questo libro vuole invece rappresentare le «ecologie politiche del fascismo», cioè «le pratiche e le narrative attraverso cui il regime ha costruito un’ecologia fascista tanto dei discorsi quanto dei territori», producendo «formazioni socioecologiche, ovvero ecosistemi fatti di narrative e piante, di memorie e orsi, di leoni addomesticati e popolazioni selvagge da assoggettare». Sono proprio le narrative a caratterizzare maggiormente l’ecologia politica fascista, perché nelle pratiche concrete troviamo molti elementi di continuità tra i governi liberali che lo hanno preceduto, il ventennio fascista e i governi del secondo dopoguerra.
L’ecologia politica è un carattere importante del fascismo, perché «modificando la terra il regime intendeva rigenerare gli italiani e non solo i luoghi in cui vivevano». La bonifica dei territori era infatti parte organica di un programma politico, che comprendeva anche la bonifica della razza e quella della cultura, secondo la visione definita da Francesco Cassata eugenetica ambientalista, diffusa intorno al 1940 soprattutto dalla rivista Razza e civiltà (F. Cassata, Molti, sani e forti. L’eugenetica in Italia, Torino, 2006).
In coerenza con la propria cultura bellicista, il regime fascista si lanciò in due battaglie, quella del grano e quella contro le paludi. Si trattò di «pretese politiche modernizzatrici» frutto della combinazione «del desiderio autarchico del regime e dei nuovi modelli tecnocratici impostisi nell’amministrazione dello Stato sotto Giovanni Giolitti e Francesco Saverio Nitti», da cui ebbero origine a politiche agrarie che tentavano di combinare ruralismo e modernità. Nonostante la retorica ruralista del regime, beneficiarono di queste politiche «i grandi industriali, i latifondisti e le popolazioni urbane.»
Nel 1933 fu emanata la cosiddetta Legge Serpieri sulla bonifica integrale, che estendeva la responsabilità dello Stato oltre il solo prosciugamento dei terreni, per comprendere attività come i rimboschimenti, il consolidamento delle dune costiere, la realizzazione di strade, acquedotti e altre infrastrutture, il riordino fondiario. La diffusione della bonifica integrale, che necessitava di ingenti investimenti da parte dello stato, non fu possibile anche a causa dell’impegno finanziario profuso nella guerra coloniale in Etiopia, così l’unico progetto di bonifica integrale realizzato fu quello dell’Agro Pontino. Secondo gli autori «Le vere conseguenze ecologiche ed economiche delle politiche modernizzatrici impallidiscono se paragonati ai loro effetti simbolici e politici» perché «L’accelerazione dei processi di industrializzazione negli anni a ridosso della Seconda guerra mondiale stimolò proprio quel declino del mondo rurale e quello spopolamento che il regime fascista diceva di voler frenare e invertire.»
L’istituzione del Parco Nazionale del Circeo, nel 1934, fu parte integrante della propaganda connessa alla bonifica pontina. Il parco doveva essere un monumento con due scopi, mettere in evidenza la differenza tra il territorio bonificato e le antiche paludi e perpetuare l’immagine dei come esso doveva presentarsi ai tempi dell’Impero Romano. Vi furono anche voci, come quella del medico e senatore Raffaele Bastianelli, che chiesero al duce di riservare una parte del territorio alla conservazione della flora e dalla fauna. 7500 ettari di foreste e paludi furono così esclusi dalla conversione all’agricoltura, ma anche questi non rimasero indenni da trasformazioni. Alberi alloctoni, come gli eucalipti, furono impianti su più di 700 ettari, nei boschi superstiti furono realizzati fossi cementificati e il sottobosco fu regolarmente rimosso (sottraendo una fonte di sostentamento alla popolazione originaria).
Le Paludi Pontine erano sempre state un territorio tutt’altro che improduttivo, ma l’economia tradizionale era fondata su scambi e movimenti di popolazione tra colline e pianura, tra acqua e terra, che secondo l’antropologo Paolo Gruppuso erano visti dal regime come «un elemento di disordine, non solo idrogeologico, ma anche sociale, sanitario e morale».
Riguarda il territorio del Lazio meridionale anche l’istituzione del Parco Nazionale d’Abruzzo, che fu decisa dal governo fascista nel 1923. Nonostante il parco fosse stato in pratica già istituito come ente privato nel 1922 per iniziativa dell’associazione Pro montibus et sylvis, «la velocità con cui il regime mise in pratica le aspirazioni di tutela emerse nel dibattito politico del periodo liberale impressionò positivamente molti fautori della tutela della natura». Nei primi anni il regime consentì un’ampia autonomia nella gestione dei parchi nazionali, ma nel 1926 il Corpo reale delle foreste fu militarizzato e trasformato nella Milizia nazionale forestale e questo segnò secondo gli autori il passaggio da una visione tecnocratica di tutela della natura a una di carattere più repressivo verso le popolazioni locali. Una vicenda particolarmente importante nella storia del Parco Nazionale d’Abruzzo fu la “battaglia dei laghi”. La società Terni aveva ottenuto dal Ministero dei lavori pubblici l’autorizzazione a realizzare due bacini idroelettrici, nelle piane di Opi e di Barrea. Il progetto fu osteggiato da Erminio Sipari, direttore del parco e deputato, che ottenne nel 1928 l’annullamento delle autorizzazioni da parte di Mussolini, convinto che l’aumento della produzione idroelettrica non fosse adeguato a compensare gli impatti negativi del progetto. Questa battaglia costò molto cara a Sipari, che qualche anno dopo fu rimosso da direttore mentre il parco perse l’autonomia. Il progetto dell’invaso di Opi fu abbandonato definitivamente, la diga di Barrea invece fu edificata tra il 1948 e il 1952
Analizzare l’ecologia politica del fascismo è importante anche perché essa ha lasciato un’eredità molto impegnativa. Gli autori evidenziano come il successo comunicativo della bonifica pontina «ha avuto ripercussioni sulla memoria e sulla formazione di quella che viene chiamata identità veneto-pontina, ovvero quella di molti coloni veneti e friulani dell’Agro Pontino. … Nel caso dell’Agro Pontino il simbolismo fascista era del resto parte integrante dell’identità di una popolazione immigrata esclusivamente in ragione dell’ecologia politica del regime. E l’identità percepita, anche se basata su tradizioni inventate, è ardua da dimenticare o superare.»
La natura del duce analizza anche i tentativi di introdurre innovazioni industriali per applicare la politica dell’autarchia, le “ecologie dell’impero”, la narrazione dell’atteggiamento di Mussolini verso la natura da parte di due donne molto diverse tra loro come Margherita Sarfatti e Rachele, moglie del duce, la complessa gestione dell’eredità fascista nei paesaggi urbani durante il dopoguerra. L’approccio adottato dagli autori, di descrivere e analizzare piuttosto che emettere giudizi e attribuire punteggi, ha dato origine a un libro molto utile per conoscere aspetti importanti delle politiche del regime fascista.
Marco Armiero, Roberta Biasillo, Wiko Graf von Hardenberg, La natura del duce. Una storia ambientale del fascismo, Giulio Einaudi Editore, Torino, 2022.
Nella foto in evidenza vediamo da destra verso sinistra Giovanni Cannata (presidente del Parco Nazionale d’Abruzzo Lazio e Molise), Giuseppe Marzano (presidente del Parco Nazionale del Circeo) e Giampiero Sammuri (presidente di Federparchi – Europarc Italia), a Sabaudia per la celebrazione del centenario dei primi parchi nazionali italiani il 28 settebre 2022.
Racconta le vicende successive del Parco Nazionale d’Abruzzo questo libro di Luigi Piccioni https://viaitri.blog/2020/11/13/sindacato-ambiente-sviluppo-la-cgil-abruzzo-i-parchi-e-le-origini-della-riserva-monte-genziana-alto-gizio-1979-1996/
Una opinione su "La natura del duce. Una storia ambientale del fascismo."