Ludwig Wittgenstein e la Grande guerra

Ludwig Wittgenstein si arruolò volontario nel 1914 e partecipò alla Grande guerra nell’esercito austro-ungarico, inizialmente come soldato semplice poi come ufficiale di artiglieria. Fatto prigioniero dall’esercito italiano nei pressi di Trento, venne condotto nel campo di prigionia allestito a Cassino, in località Caira. Nonostante l’impegno dei suoi famigliari e l’intervento in suo favore di autorità religiose, il filosofo non volle beneficiare di un rilascio anticipato rispetto agli altri internati e rimase perciò a Caira fino al 21 agosto del 1919.

All’esperienza di Wittgenstein in guerra e in particolare nel campo di prigionia è dedicato il volume Ludwig Wittgenstein e la Grande guerra, che raccoglie gli atti del un convegno tenuto a Cassino il 29 ottobre 2019.

I campi di prigionia, come ci dice Marco De Niccolò nel saggio I campi di internamento durante la Grande guerra, il caso di Caira e l’esperienza di Ludwig Wittgenstein, apparvero la prima volta durante la guerra di secessione americana.   A livello internazionale furono normati con la Convenzione dell’Aia del 1907, concernente le leggi e gli usi della guerra terrestre. Durante la Prima guerra mondiale ebbero un’enorme diffusione, si stima che i prigionieri di guerra furono tra 3.100.000 e 3.700.00 all’interno delle truppe degli Imperi centrali, tra 3.800.000 e 5.100.000 in quelle dell’Intesa, con gli alleati. Il numero degli internati nei campi italiani crebbe progressivamente, fino a 130.000 stimati ad aprile del 1918. Il 3 novembre dello stesso anno, praticamente in sul solo giorno, furono catturati dagli italiani 300.00 soldati dell’esercito austro-ungarico, tra i quali il filosofo viennese.  Dal libro Wittgenstein prigioniero a Cassino, pubblicato dal suo compagno di prigionia Franz Parak, e dai risultati delle ricerche successive risulta che nel campo di Caira le condizioni di igiene e le razioni alimentari fossero sufficienti, anche se l’epidemia di tifo petecchiale che si diffuse nel 1919 un migliaio di morti tra i reclusi. Nel campo i prigionieri erano divisi secondo l’appartenenza nazionale e si dedicavano a diverse attività, oltre a lavorare. Tra gli austriaci erano frequenti le letture comuni e le discussioni di classici letterari e filosofici, come le opere di Kant e Dostoevskij, alle quali Wittgenstein non si sottraeva. Il filosofo si interessò anche di religione e in particolare di cristianesimo di Tolstoj, fino a prendere in considerazione la possibilità di dedicarsi al sacerdozio una volta finita la guerra.

Durante la prigionia a Caira, Wittgenstein lavorò al Tractatus logico-philosophicus, discutendo sulle sue elaborazioni con altri prigionieri e in particolare con Parak.Da Cassino, scrive Micaela Latini nel saggio Oltre la linea del fuoco. Ludwig Wittgenstein e la Prima guerra mondiale, il 13 marzo 1919 due copie dattiloscritte del Trattato furono spedite con l’aiuto della Croce Rossa rispettivamente a Glottlob Frege e a Bertrand Russell (prigioniero anche lui, nel Regno Unito, a causa di un articolo pacifista che aveva pubblicato). A proposito dei motivi che spinsero il filosofo ad arruolarsi, Latini scrive che «Sulle ragioni dell’ideale slancio bellico di Wittgenstein si è a lungo discusso. Certamente alla sua base non era solo il desiderio di difendere la patria, ma anche … di mettersi alla prova in un settore diverso da quello della mera vita intellettuale. Forse Wittgenstein era convinto che proprio investendo in un settore diverso lontano dalla intellettualità avrebbe potuto chiarire il problema etico e personale sul proprio carattere, e di qui contribuire all’approfondimento teoretico».

I contributi di Luigi Perissinotto e di Sara Fortuna mettono in evidenza una significativa evoluzione del pensiero di Wittgenstein, che mi sembra particolarmente importante richiamare in questi giorni. Il filosofo scriveva, sui suoi Diari segreti, nell’ottobre del 1914 che «gli inglesi – la migliore razza del mondo – non possono perdere» mentre i tedeschi erano destinati a perdere. Poiché lui si sentiva «completamente tedesco», annotava che «il pensiero che la nostra razza venga sconfitta» gli causava una profonda depressione. Con le espressioni razza tedesca e razza inglese, secondo Perissinotto, Wittgenstein voleva indicare da una parte la cultura tedesca (Kultur), dall’altra la civiltà angloamericana (Zivilization), che secondo un atteggiamento diffuso all’epoca rappresentavano rispettivamente lo spirito e la materia. Nel 1939 invece ruppe i rapporti con l’allievo e amico Norman Malcon, perché questi aveva utilizzato l’espressione carattere nazionale, mostrando a giudizio di Wittgenstein una inaccettabile superficialità nell’uso di «frasi pericolose» (come scriverà in una lettera del 1944).

La convenzione dell’Aia prevedeva che i prigionieri potessero lavorare per le opere pubbliche, nell’agricoltura e nell’industria. L’opportunità di utilizzare sul posto il lavoro dei prigionieri spinse l’onorevole Achille Visocchi, originario di Atina e all’epoca sottosegretario ai lavori pubblici, a promuovere la realizzazione di un campo di prigionia a Cassino. Il campo di Caira, scrive Gaetano de Angelis Curtis nel saggio Il campo di concentramento di Cassino-Caira e Ludwig Wittgenstein, era destinato a ospitare 2.000-2.500 prigionieri, ma il loro numero aumentò fino a 6.000 dopo l’armistizio di Vittorio Veneto (35.000 secondo il saggio di De Niccolò).  I prigionieri di Caira lavorarono in particolare a rimboschimenti presso l’Abbazia di Montecassino e sulle Mainarde. Dopo la fine della Grande guerra il campo fu destinato a scuola per gli allievi ufficiali dei Carabinieri, fino al 1927. Successivamente l’area fu in uso all’Artiglieria dell’Esercito italiano che la destinò a deposito. Durante la Seconda guerra mondiale entrò a far parte del sistema difensivo realizzato dai tedeschi e venne completamente distrutto dalle operazioni belliche. Parzialmente ricostruite, le strutture di Caira furono utilizzate dall’Artiglieria come deposito fino al 2007, mentre ora l’area di 24.000 m2, con quattro capannoni, è in completo abbandono.

Il sindaco pro tempore di Cassino, Enzo Salera, ha espresso nel suo intervento al convegno l’auspicio che le strutture superstiti del campo di Caira divengano un centro di formazione e ricerca per giovani studiosi, gestito dall’Università di Cassino. Per ora non si colgono segnali che proposte indirizzate a sottrarre all’abbandono questo luogo, tanto significativo per la storia e per la cultura del ‘900, abbiano fatto reali passi in avanti.

Il soggiorno di Ludwig Wittgenstein nel campo di Caira e una pagina del diario di sua madre, Giuseppina Serrini, hanno ispirato il racconto Ina e Ludwig di Tommaso Di Francesco. L’autore immagina che il filosofo austriaco abbia condotto un gruppo di internati a lavorare come braccianti in un’azienda agricola dell’Agro romano, per supplire alla forza lavoro della famiglia del mezzadro Luigi, falcidiata dall’epidemia di influenza spagnola. Constatata la propria incapacità nel contribuire validamente ai lavori agricoli, Ludwig si dedica all’insegnamento per i bambini che vivono presso l’azienda. Sarà particolarmente intenso l’incontro con Ina, una bambina impegnata a superare le sue difficoltà nella deambulazione e nella capacità di usare le parole. Questa esperienza indurrà Ludwig a dedicarsi all’insegnamento nelle scuole elementari terminata la prigionia, invece che al sacerdozio.

Arricchito dalle reinterpretazioni di due lettere tratte dal carteggio tra Wittgenstein, Russel e Keynes, impreziosito dalla scrittura poetica dell’autore, Ina e Ludwig ci offre anche una testimonianza delle dure condizioni di vita degli agricoltori nell’Agro romano all’inizio del ‘900, tratta dall’esperienza reale di Giuseppina Serrini.

Ludwig Wittgenstein e la Grande guerra, a cura di Marco De Nicolò, Micaela Latini, Fausto Pellecchia, Mimesis Edizioni, Milano-Udine, 2021.

Ina e Ludwig, di Tommaso Di Francesco, Asterios, Trieste, 2021.

La fotografia dell’ex campo di prigioni è tratta da linkiestaquotidiano:

https://www.linchiestaquotidiano.it/news/2019/11/05/cassino-progetto-dell-associazione-labriolab-ecco-il-parco/28397

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