Nella ricorrenza del venticinquesimo anniversario dell’omicidio di don Peppe Diana, Alessandro Colletti e Goffredo Fofi hanno raccolto esperienze e testimonianze in un libro pubblicato dalle Edizioni dell’Asino. La testimonianza di Enrico Pugliese è intitolata Un sociologo.
Pugliese racconta che iniziò a indagare sulla Campania quando, mentre usufruiva di una borsa di studio in California, gli arrivò la notizia dei “fatti di Battipaglia”. Il 9 aprile del 1969 la polizia attaccò duramente i cittadini di Battipaglia che avevano occupato la ferrovia per protestare contro la chiusura di uno zuccherificio e di un tabacchificio, gli scontri proseguirono per molte ore e sotto il fuoco delle forze dell’ordine caddero la casalinga Teresa Riccardi e lo studente Carmine Citro.
La chiusura delle fabbriche in Campania proseguì per tutti gli anni ’70. La vittoria del sindaco comunista Valenzi a Napoli, scrive Pugliese, è il portato di una realtà ormai pregressa. Il terremoto del 1980 non è la causa dei cambiamenti nel Mezzogiorno, perchè quando arriva il terremoto le cose più importanti sono già successe.
La Terra di lavoro rappresentava il prodotto di secoli di arretramento in quella che era stata la Campania felix, ridotta a terra di pascolo brado e agricoltura povera. Con la bonifica si trasforma in una terra molto ricca e poco abitata, dove dilaga negli anni Settanta la criminalità organizzata. Scrive Pugliese a questo proposito che “Per quel poco che ne so, la mia idea è che la tematica della produzione agricola quotidiana, della vita dell’azienda capitalistica del del bracciantato immigrato c’entrino poco con la criminalità organizzata. Il caporale di Villa Literno non è necessariamente collegato con la camorra, perchè la camorra ha due ambiti principali che io riconosco: il taglieggiamento dell’impresa e la droga. Quale interesse può avere a controllare il caporale che porta i braccianti da Giugliano a Caianello?” … “Gli immigrati arrivano così densamente perchè è una zona di svipuppo non popolosa …” … “Il caporale non è solo quello che descrive Leogrande, in tutte le zone è una figura necessaria e normale.” …. “Come risultato della ricerca, ho scoperto che in tutte queste zone, quale che sia il caporale, la struttura produttiva, il tipo di raccolto, i braccianti, al netto del taglieggiamento del caporale, si portano a casa tra i venti e i venticinque euro, come se ci fosse il contratto nazionale unico del sottosalario“
Pugliese racconta che sua esperienza di ricerca nella Terra di lavoro “E’ stata un periodo interessante, perchè la prima ondata migratoria era altamente scolarizzata e c’è stata una forte identificazione reciproca” .. “I miei ricercatori … riuscivano a interagire con i più giovani per il fatto di essere giovani: l’identificazione studente-bracciante avveniva per la comune scolarizzazione …” …. “L’unica cosa che scoprii e capii fu l’analogia con la California, il modello della produzione ortofrutticola moderna, basato sullo sfruttamento del bracciante agricolo che comunque era un riscatto per chi lo viveva, ma si trattava anche di accettare salari e condizioni la lavoro che quindici anni prima erano state superate.”
Al termine della sua testimonianza, in cui ci parla anche di come Saviano ed altri autori rappresentino in modo molto distorto la realtà della Campania, il sociologo si chiede se l’agricoltura è ancora importante nella Terra di lavoro. La risposta è affermativa: “L’agricoltura conta certamente: ci sono centinaia di migliaia di persone che lavorano in un’agricoltura che è ricca perchè la manodopera è povera e lo deve essere, deve essere disperata, come in California negli anni Trenta. Su quattro, cinque milioni di immigrati presenti in Italia, di cui la metà lavorano, la metà sono donne che lavorano come badanti; ci sono gli operai, ci sono gli edili. Restano un paio di centinaia di migliaia impiegati nell’agricoltura, ma sono i veri ultimi, i paria, a prescindere dalla camorra e dal caporalato.“
Per quanto possa essere rassicurante attribuire la responsabilità dello sfruttamento dei bracciati ai camorristi e ai caporali, non dobbiamo dimenticare che le cause vere vanno ricercate altrove. Ci sono da una parte il meccanismo di formazione dei prezzi dei prodotti agroalimentari, che penalizza i margini delle aziende agricole, dall’altra la scarsa propensione a investire e a innovare di molti agricoltori. Non dobbiamo dimenticare infine la scarsa efficacia delle politiche pubbliche per lo sviluppo rurale, che dovrrebbero promuovere gli investimenti e l’innovazione, di cui non si discute mai.
Putroppo nel dibattito pubblico in Italia non è molto frequente ascoltare studiosi appassionati, competenti e intellettualmente onesti come Enrico Pugliese.
Enrico Pugliese, Un sociologo. In Terra di lavoro. Esperienze e riflessioni dai paesi di don Peppe Diana, a cura di Alessandro Colletti e Goffredo Fofi. Edizioni dell’Asino, Roma, 2020.